Innovazione di prodotto, trasparenza, compliance, incentivi alla rete: ecco come si stanno muovendo le società e la distribuzione per rilanciare l’offerta.
Le SGR italiane sono da dieci anni una specie in via di estinzione, anche perchè nel nostro paese la vigilanza è molto seria e le obbliga a forti investimenti e a sostenere forti costi.
Marco Rosati, A.D. Zenit SGR
Marco Rosati, ha partecipato alla tavola rotonda su “Asset management: le strategie e le sfide del mercato”, organizzata da Banca Finanza. Tra i temi affrontati: quanto durerà l’interesse delle reti bancarie verso il risparmio gestito? Quali reazioni avranno i clienti eccessivamente esposti, per l’esigenza di proteggere il patrimonio, sull’obbligazionario da un futuro destinato a riservare poche soddisfazioni a questo comparto? Come reagiranno le case di produzione italiane alla fortissima concorrenza di quelle estere, che sembrano averle rilegate in un angolo?
Come SGR indipendente, diciamo di nicchia, non siamo l’osservatorio privilegiato per analizzare i grandi numeri del sistema. Da una parte però mi sembra che prosegua in modo forte il trend di penetrazione delle reti delle grandissime case internazionali, con la delega ai gestori esteri anche dei prodotti messi a punto dai distributori i dalle SGR italiane. Dall’altra parte, guardando alla nicchia in cui operiamo si assiste dopo tanti anni a un’apertura a SGR come la nostra frutto di una selezione, più attenta verso chi propone prodotti particolari. Più in generale vedo da parte di un buon numero di distributori, grandi reti di promotori o banche un ampliamento dell’offerta, che va di pari passo con la ripresa abbastanza vivace della raccolta da parte del sistema dei fondi.Domanda. Quanto è stato importante il ruolo delle banche nella crescita del risparmio gestito?
Nel valutare questo settore bisogna distinguere la distribuzione dalla gestione e dalla produzione. Occupandomi di Etf, tipico prodotto da gestore e da cliente istituzionale, devo fare una considerazione un pò amara: l’Italia sta perdendo l’occasione per rimanere un paese anche di produzione. Se ne fa sempre di meno, mentre cresce la distribuzione. Le SGR estere offrono ottimi prodotti, e sono state interessate da un processo di fusioni e aggregazioni. Quelle italiane, in particolare di estrazione bancaria, hanno perso una grande occasione, in particolare quella fornita dalla specializzazione, nonostante la qualità dei porfolio manager. Le case italiane hanno mantenuto un approccio generalista che non sempre premia, anche se noto come stiano emergendo alcune case che si stanno specializzando sulla gestione di alcuni prodotti. Non sono d’accordo, invece, sul fatto che al cliente il costo dei prodotti non interessi. Per le gestioni patrimoniali, quello dei costi è un elemento fondamentale per permettere un buon livello di performance.
Domanda. Quale spazio si può ancora creare in Italia per le sgr indipendenti e le case di produzione?
Le SGR italiane sono da dieci anni una specie di via di estinzione, anche perchè nel nostro paese la vigilanza è molto seria e le obbliga a forti investimenti e a sostenere costi alti. Questo è sicuramente un bene per la tutela del mercato, ma purtroppo le norme non sono le stesse in tutta Europa. E poichè si possono liberamente distribuire in Italia prodotti gestiti da intermediari soggetti a regole applicate in modo molto più blando dalle autorità dei rispettivi paesi, viene a crearsi una distorsione competitiva che induce l’industria italiana a delocalizzare. Abbiamo assistito a una migrazione all’estero e a una “estero-vestizione” delle nostre SGR. Oggi è impossibile o quasi per i professionisti privati intraprendere questa attività in Italia. Ci sono troppe bariere e tutto è più complicato, vigilato, burocratizzato. Caratteristica del resto che riguarda in generale il nostro paese. Intendiamoci, non ho nulla contro l’ingresso delle case estere: è giusto che i più grandi gestori del mondo, con grandi capacità, possano arrivare anche da noi. Altra cosa, però, è l’assoluta esterofilia degli italiani, anche dei distributori: pensano che un brand straniero sia più facilmente vendibile e agevoli il collocatore. Questo ha portato a una desertificazione dell’industria in Italia, con risvolti pessimi sull’intero sistema economico: si è limitato l’accesso delle aziende ai mercati dei capitali e creando pericolose concentrazioni degli investimenti e dei rischi sui portafogli dei risparmiatori, come dimostrato dal peso della raccolta registrata dai fondi azionari e obbligazionari specializzati sui paesi emergenti.