“New entry” tra gli strumenti finanziari, con oltre 1 miliardo e mezzo di euro raccolti nei primi tre mesi dell’anno, i Piani Individuali di Risparmio hanno già riscosso un notevole successo. Eppure, I PIR hanno da subito sollevato domande e dubbi interpretativi circa alcuni passaggi normativi. A sciogliere i nodi arriva un decreto legge che, tra modifiche e integrazioni, mira a far luce su questi strumenti finanziari.
I Piani individuali di risparmio hanno fatto il loro debutto sul mercato italiano a inizio 2017 con il nobile scopo di convogliare il risparmio degli investitori verso le piccole e medie imprese del Belpaese, offrendo in cambio ai sottoscrittori interessanti vantaggi in termini fiscali.
I PIR sono stati accolti con favore, per non dire con vero e proprio entusiasmo, da risparmiatori e operatori del settore, tanto da spingere il ministero dell’Economia a rivedere al rialzo le stime di raccolta: ora si prevede di poter raggiungere i 10 miliardi nell’intero 2017, un aumento sostanziale rispetto alle stime iniziali che indicavano una raccolta tra i 16 e i 18 miliardi in cinque anni.
L’unica pecca stava nella normativa relativa a questi strumenti, che da subito è apparsa poco chiara, in certi punti addirittura errata. Ma la soluzione ai dubbi è arrivata, nella forma di un decreto legge datato 24 aprile, che dovrebbe far luce sugli aspetti più insidiosi. Vediamo le precisazioni principali, lasciando da parte i tecnicismi e concentrandosi su quel che davvero è importante.
Le principali modifiche
Tra le principali fonti di incertezza, nella prima stesura, si trovava un vero e proprio “refuso”: il comma 101, infatti, rinviava erroneamente al comma 90 per l’elenco degli investimenti qualificati per beneficiare dei vantaggi fiscali. Ma l’elenco a cui fare riferimento si trova in realtà al comma 102, come precisa il nuovo decreto. Numeri da capogiro a parte, la cosa importante è che, per beneficiare della non imponibilità dei redditi derivanti dagli investimenti in PIR, bisogna rispettare i seguenti requisiti:
Gli investimenti, lo ricordiamo, possono essere effettuati in modo indiretto, tramite di fondi comuni italiani o esteri (sicav incluse), a patto che rispettino i vincoli e i limiti del decreto. A questo proposito, Zenit ha messo a disposizione, già da febbraio 2017, due fondi PIR – Zenit Obbligazionario e Zenit Pianeta Italia – che vengono distribuiti tramite diversi soggetti bancari, reti di promozione finanziaria e direttamente online dal sito internet della società.
Tornando alle modifiche normative, la società presso cui è stato aperto il PIR deve tenere traccia, separatamente, delle somme versate nel piano in anni differenti e degli investimenti effettuati. Questa separazione contabile è importante per tenere traccia delle movimentazioni degli strumenti finanziari contenuti nel piano, dei redditi delle eventuali minusvalenze conseguite, e per verificare che venga rispettato il vincolo di detenzione degli strumenti finanziari per almeno cinque anni, necessario per beneficiare delle agevolazioni fiscali. La normativa sui PIR – lo ricordiamo – non prevede l’obbligo di aprire un rapporto ad hoc per gli investimenti destinati al piano: per questo la società – intermediario finanziario o impresa di assicurazione – deve garantire una corretta separazione contabile rispetto agli altri strumenti finanziari eventualmente detenuti dall’investitore presso lo stesso intermediario..
Un’altra modifica importante riguarda le tempistiche per reinvestire le somme ricavate dopo il rimborso a scadenza degli strumenti finanziari detenuti nel PIR: ora i giorni previsti non sono più 30, ma 90.
Agevolazioni fiscali, comprendiamole meglio
Le agevolazioni fiscali sono tra le maggiori attrattive dei PIR, infatti, nel rispetto di determinate condizioni, questi strumenti concedono l’esenzione totale dalle imposte sui redditi generati dall’investimento stesso e dalla tassa di successione (venuto a mancare il sottoscrittore).
L’esenzione però è da considerarsi nei limiti del 5% dell’attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente, a condizione come detto che gli investimenti nei PIR siano mantenuti per 5 anni. Certo, si può sempre disinvestire prima del termine, ma in tal caso il beneficio fiscale si perde e le tasse vengono pagate, per di più con la mora.
Il vantaggio, comunque, è che ai PIR si applica un’aliquota pari allo 0%. Inoltre, è stata abrogata la normativa sul credito di imposta spettante alle forme di previdenza complementare e agli enti di previdenza obbligatoria in relazione ai redditi investiti.
Riassumiamo
Le modifiche dunque sembrano migliorative per i risparmiatori. Ecco i principali vantaggi derivanti dagli ultimi cambiamenti:
- per investire in PIR non occorre aprire un nuovo conto titoli
- a tenere la contabilità è la sola banca
- più flessibilità: 90 giorni per reinvestire le somme e possibilità di acquisti diretti di titoli o fondi per almeno 2/3 dell’anno