Gli italiani, si sa, sono un popolo passionale. Ma quando la stessa emotività si riflette nelle loro scelte di investimento, arrivando a prevalere sulla ragione e sulla conoscenza, inizia a sorgere qualche problema.
Negli investimenti infatti, difficilmente l’emotività è buona consigliera. Eppure la sua forza sembra irresistibile per i risparmiatori del Bel paese, almeno stando a un recente studio dell’Osservatorio UBI Pramerica People LAB, condotto da Kantar TNS, secondo cui gli eventi con un forte impatto mediatico sono in grado di condizionare pesantemente le nostre scelte di investimento, a prescindere dalla loro effettiva influenza – generalmente minima – sui trend di lungo periodo dei mercati finanziari.
Facciamo qualche esempio concreto, per capire meglio l’entità del fenomeno: secondo lo studio, le principali fonti di preoccupazione per gli investitori italiani sarebbero la corruzione (81%), l’elevato livello di debito pubblico (77%), la stabilità dei governi (68%), l’emergenza dei migranti (67%) e la disoccupazione (67%). Ma la realtà è che tutti questi eventi, per quanto destabilizzanti nel brevissimo termine, se inquadrati in un orizzonte temporale più ampio non hanno una portata significativa sul corso dei mercati, che dipendono piuttosto dall’andamento dell’economia e degli utili aziendali.
Questi errori di valutazione – veri e propri bias comportamentali – potrebbero essere riconducibili in parte alla scarsa alfabetizzazione finanziaria dei risparmiatori italiani. Secondo l’Osservatorio infatti, solo poco più del 30% del campione intervistato conosce il significato preciso dei termini “bail-in” e “QE”, nonostante entrambi siano richiamati spesso dalle pagine delle testate nazionali e dai telegiornali. Per concludere con una nota positiva, citiamo un altro dato interessante emerso dallo studio: se gli italiani non si appassionano a “tecnicismi finanziari” come bail-in e QE, con risultati spesso dannosi per se stessi, risultano però molto più ricettivi a temi che avvertono come più vicini alla loro quotidianità.
Un esempio lampante è quello dei PIR, i Piani Individuali di Risparmio (ne abbiamo parlato ampiamente QUI), che permettono agli investitori Retail di investire sulle piccole e medie imprese italiane ottenendo in cambio interessanti vantaggi fiscali (a determinate condizioni).
Nonostante si parli di PIR solo da pochi mesi infatti, rileva lo studio, il 26% del campione ha dichiarato di conoscerli. Non solo: un intervistato su quattro si è detto interessato a sottoscrivere questi strumenti e uno su due si è dichiarato disposto a prendere in considerazione l’acquisto.
Tirando le somme, il quadro dipinto dallo studio ritrae un popolo ancora piuttosto lontano dalle tematiche strettamente finanziarie, troppo complicate e inaccessibili per attrarre l’interesse dei piccoli risparmiatori che, privi degli strumenti necessari per orientarsi autonomamente nel mondo degli investimenti, si lasciano trascinare dagli allarmismi mediatici. Al contempo però, emerge un forte interesse ad informarsi su quelle che appaiono come tematiche più vicine alle proprie esigenze quotidiane, come appunto il risparmio fiscale e l’investimento sulle PMI nazionali.