Settimana in prevalenza negativa per i mercati azionari, stretti tra i timori di una ripresa della pandemia legata alla variante Omicron e quelli legati all’inflazione, che, in base a quanto affermato dal presidente della Federal Reserve al Congresso, non è più definibile come transitoria.
I dati pubblicati negli Stati Uniti mostrano che gli indici dei prezzi continuano a salire rispetto ai periodi precedenti, ultimo l’indice dei prezzi alla produzione che ha evidenziato una variazione annua tendenziale del 9.6%. Anche le aspettative sembrano meno ancorate ai tradizionali valori obiettivo delle banche centrali: un recente sondaggio della Federal Reserve Bank of New York ha rivelato che le attese di crescita dei prezzi presso i consumatori statunitensi sono salite oltre il 6%.
Sui mercati azionari rimangono elevate le valutazioni, con i rapporti P/E delle azioni americane che hanno ormai raggiunto i livelli della “bolla” dot-com di inizio millennio.
Sul fronte pandemia, i rischi provengono da una nuova variante del contagio, denominata Omicron, che, a causa di una rapidità di diffusione superiore alle altre, sta varcando con facilità i confini mondiali e provocando nuove impennate di casi positivi. Data la recente scoperta, poco è ancora noto di questa nuova variante; tuttavia, si teme che alcuni vaccini possano offrire una insufficiente copertura nei suoi confronti e quindi la maggiore preoccupazione è legata alla necessità di più rigide misure di contenimento che contribuirebbero a danneggiare la ripresa economica.
Nella settimana che inizia la Cina annuncerà probabilmente un allentamento dei requisiti di riserva per le banche, di fatto una mossa espansiva di politica monetaria, legata alla crisi del settore immobiliare e alla domanda interna più debole del previsto.
Per quanto riguarda gli utili aziendali, il trimestre si avvia alla chiusura e gli annunci sono ormai molto ridotti in numero, con Micron Technology e Nike tra i nomi di maggior risonanza attesi.
Sul piano congiunturale, infine, i dati più importanti da osservare saranno probabilmente il PIL britannico e statunitense, la fiducia dei consumatori USA nella doppia versione Conference Board e University of Michigan, redditi e spese personali negli Stati Uniti, insieme con il relativo deflatore, uno degli indicatori di inflazione più attentamente analizzati dalla Federal Reserve.