Il Contratto per il governo del cambiamento, la piattaforma programmatica su cui dovrebbe fondarsi il prossimo esecutivo composto da Movimento 5 Stelle e Lega, è ormai definitivo e noto, dopo la pubblicazione di alcune sue versioni provvisorie, giunte in possesso dei mezzi di comunicazione e ampiamente discusse nei giorni scorsi.
Scorrendo il documento, colpisce innanzitutto che il “governo del cambiamento” non preveda alcun capitoletto dedicato ai temi dell’innovazione o della digitalizzazione, come già hanno notato alcuni osservatori; tanto più questo provenendo da una forza politica che ha utilizzato e utilizza estensivamente Internet come mezzo di comunicazione con i propri iscritti. Più in generale, l’impressione di molte parti del Contratto è che esso strizzi l’occhio nostalgicamente a un’Italia del passato, la “quinta potenza industriale” nel mondo, volendo encomiabilmente rinverdirne i fasti, ma con strumenti che rischiano di essere poco adatti a competere su una scena mondiale strutturalmente modificata dalla globalizzazione e dalla rivoluzione digitale.
D’altra parte, le riforme proposte sono, in alcuni campi, radicali e riprendono i cavalli di battaglia delle due forze politiche nella scorsa campagna elettorale: la flat tax per la Lega e il reddito di cittadinanza per i Cinque Stelle. A questi due temi cardine si aggiungono numerosi altri provvedimenti con un rilevante impatto economico: dalla riforma delle pensioni alle politiche per le famiglie, dall’eliminazione di alcune delle accise sulla benzina alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia sull’IVA, fino a investimenti e nuove assunzioni per le forze dell’ordine. L’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica ha stimato che l’insieme di tutte queste politiche di spesa assommerebbe a circa 110–125 miliardi di euro, dei quali 50 miliardi attribuibili alla sola riforma fiscale, mentre le coperture quantificabili dal lato delle entrate sarebbero solo 500 milioni di euro circa. In realtà, le due forze politiche sperano di ricavare nuove entrate attraverso un condono o “pace fiscale”, che potrebbe portare nelle casse dello Stato da 35 a 50 miliardi di euro una tantum, e rinegoziando con l’Unione Europea i contributi a carico dell’Italia e i fondi ad essa destinati.
Proprio l’Unione Europea è stato uno dei temi più controversi del Contratto e la formulazione del relativo capitoletto è stata profondamente rivista nella versione definitiva rispetto alle prime stesure circolate, ammorbidendo progressivamente i toni nei confronti delle istituzioni comunitarie. D’altro canto, proprio in questi giorni è in atto una riflessione — portata avanti in particolare dal presidente francese Macron — sul futuro dell’Unione Europea e sarebbe miope da parte dell’Italia non partecipare costruttivamente a questo tavolo attestandosi su una posizione di rigide rivendicazioni economiche che, come dimostra il caso della Brexit, rischiano di ritorcersi contro gli stessi proponenti. Come notano numerosi osservatori, l’attuale situazione politica di Francia e Germania è particolarmente propizia per cercare di correggere alcuni degli errori più macroscopici che l’Unione Europea ha compiuto negli ultimi anni, ma questo richiede un’abilità negoziale che mal si concilia con toni ultimativi dall’una e dall’altra parte.
Le prime versioni del Contratto sono state accolte con moderato scetticismo dal mercato, che ha causato un innalzamento tutto sommato contenuto degli indici di rischio dell’Italia. Molto si giocherà sulla capacità dei futuri governanti di reperire le ingenti risorse necessarie per implementare, anche gradualmente, il programma, soprattutto nei temi economici, senza eccessivi scossoni sui conti pubblici. Anche il rapporto con l’Unione Europea sarà un banco di prova sensibile agli occhi degli investitori per valutare il nuovo esecutivo, per cui sarà opportuno evitare toni accesi e intraprendere le dovute negoziazioni senza troppe rigidità.
In conclusione, l’impressione è che i mercati abbiano assunto un atteggiamento attendista nei confronti del nuovo governo. Alcune delle proposte sono suonate in una prima versione come veri e propri campanelli d’allarme, ridimensionati poi nella stesura definitiva del documento. Altre sono indubbiamente coraggiose, ma rischiano di restare un libro dei sogni in assenza di una maggiore chiarezza sulla reperibilità delle risorse necessarie per portarle a termine. Le prime settimane di governo — sempre che non sorgano intoppi alla formazione del nuovo esecutivo — saranno probabilmente cruciali nel determinare l’atteggiamento degli investitori internazionali verso il nostro paese.