E che in Zenit SGR è anche già stato celebrato.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore
Mai dare per morti e sepolti i mini-bond: nati sotto i migliori auspici, ma decollati fra mille difficoltà e lo scetticismo generale, gli strumenti obbligazionari creati con l’intento di facilitare l’accesso ai finanziamenti alle piccole e medie imprese italiane sembrano aver trovato finalmente la propria strada. Lo dimostrano i dati raccolti dal Politecnico di Milano e analizzati nel quarto Report italiano sui Mini-Bond che viene presentato oggi a Milano: nel 2017 la raccolta totale effettuata attraverso di essi è stata pari a 5,5 miliardi di euro rispetto ai 3,5 miliardi dell’anno precedente. Ma ancora più importante è che un ammontare di 1,4 miliardi, il doppio rispetto al 2016, sia finito nelle casse delle Pmi del nostro Paese.
Si tratta di una crescita «graduale e senza cedimenti», come viene definita all’interno dello stesso rapporto, e ancora più significativa perché viene registrata in una fase sì di espansione economica e di tassi ridotti, ma anche di generale miglioramento delle condizioni di accesso al credito.
La palestra ideale per un futuro in Borsa
«Chi sceglie i mini-bond non lo fa per un motivo di convenienza, dato che spesso potrebbe avere accesso al finanziamento bancario a condizioni non molto diverse, ma per differenziare i canali di raccolta accedendo a una fonte alternativa e complementare e soprattutto in preparazione a possibili successive operazioni sul mercato dei capitali», sottolinea Giancarlo Giudici, professore associato di Finanza Aziendale al Politecnico di Milano e direttore dell’Osservatorio Mini-Bond. Una sorta di «palestra» quindi per le Pmi, nella quale allenarsi nei rapporti con gli investitori istituzionali e magari, nel corso del tempo, effettuare operazioni più complesse quali lo sbarco a Piazza Affari, come è avvenuto per Bomi Italia e Gpi, oppure l’accesso al private equity.
Fenomeno diffuso fra le imprese di ogni taglia e settore
Nel complesso, dal novembre 2012 alla fine dello scorso anno attraverso i mini-bond sono stati raccolti 16,9 miliardi grazie a 467 emissioni effettuate da 326 imprese diverse. Considerando soltanto le operazioni condotte da Pmi l’ammontare complessivo è di 2,9 miliardi, mentre le obbligazioni sotto i 50 milioni hanno garantito nel complesso 3,2 miliardi. Il dato più rilevante, se si guarda il mondo delle imprese, è che l’accelerazione appare diffusa indipendentemente dalla taglia dell’emittente e dai settori di provenienza: dei 170 mini-Bond che hanno visto la luce nel 2017 (in crescita rispetto ai 110 dell’anno precedente) ben 147 sono inferiori a 50 milioni e, se si guarda ancora una volta al dato complessivo, più del 50% delle emissioni risulta sotto la soglia dei 5 milioni.
Il denaro è poi stato utilizzato soprattutto finanziare la crescita interna dell’azienda che ha emesso il mini-bond, finalità perseguita nel 63% dei casi all’interno del campione del report e seguita a debita distanza dall’obiettivo di ristrutturare le passività dell’impresa (21%, in particolare per le grandi imprese), di perseguire strategie di crescita esterna tramite acquisizioni (11%) e infine in minima parte dal fabbisogno di alimentare il ciclo di cassa del capitale circolante.
Le prospettive sono ancora vivaci
Fin qui la fotografia attuale, ma il mercato dei mini-bond promette di restare vivace anche nei prossimi mesi, e non soltanto perché i tassi sui mercati obbligazionari si mantengono su livelli storicamente bassi. «Tenendo anche conto della necessità di rifinanziare ben 51 titoli che giungeranno a scadenza per complessivi 2 miliardi – osserva Giudici – per il 2018 ci attendiamo una crescita del mercato e delle emissioni in linea con quella registrata lo scorso anno». Si prevedono anche nuove operazioni simili a Elite Basket Bond (l’emissione contestuale di obbligazioni di durata decennale che lo scorso dicembre ha coinvolto 10 società Elite italiane) che potrebbero avere una valenza importante dal punto di vista finanziario, in particolare nell’attirare risorse dall’estero, ma anche rispetto al messaggio culturale destinato alle stesse Pmi.
Con i Pir un rapporto ancora non sbocciato
Allargare il raggio degli investitori resta in effetti l’obiettivo principale del mini-bond. «L’anno passato ha visto confermarsi il ruolo di rilievo dei fondi chiusi di private debt, un aumento del ruolo delle banche nazionali e un crescente attivismo dalle finanziarie regionali e dei Confidi, oltre all’investimento diretto da parte della Cdp, ma la cerchia appare ancora troppo limitata rispetto al potenziale», ammette Giudici. All’appello mancano soggetti quali le assicurazioni (che si focalizzano quasi esclusivamente su emissioni sopra i 50 milioni), i fondi pensione e le casse previdenziali. E non si sono praticamente quasi viste le auspicate sinergie con i Pir, che finora investono in modo davvero marginale su questo strumento, soprattutto a causa della sua scarsa liquidità: lo sviluppo futuro, in fondo, passa anche da questa strada.