Debuttano sul mercato i fondi comuni legati ai Pir, i piani individuali di risparmio che prevedono l’azzeramento dell’imposta sui redditi generati dall’investimento (l’aliquota è del 26%) e l’esenzione delle imposte di successione e donazione. E almeno dieci società di gestione del risparmio (Sgr), secondo una rilevazione di MF-Milano Finanza, sono pronte al debutto o lo faranno a breve. L’industria dell’asset management è infatti in prima fila per cogliere le potenzialità di questi nuovi strumenti nati pochi giorni fa (il 1° gennaio scorso) perché introdotti dalla legge di Bilancio 2017 con l’obiettivo di convogliare parte del risparmio italiano verso le pmi (nella definizione italiana ed europea aziende con meno di 50 milioni di fatturato), che rappresentano l’architrave dell’economia del Paese e che si sono sempre finanziate attraverso il canale bancario per la mancanza di un mercato liquido di capitali a loro dedicato. In teoria, dunque, i Pir sono stati pensati per dare sostegno alle piccole aziende ma in realtà, se non cambieranno alcune norme, si rischia di perdere un’occasione enorme e di non centrare l’obiettivo.
Ma andiamo con ordine. Più in generale i Pir sono contenitori fiscali all’interno dei quali è possibile collocare diverse tipologie di asset, quindi non soltanto fondi, ma anche azioni, obbligazioni, o un semplice deposito titoli collegato al conto corrente. Possono essere sottoscritti esclusivamente da persone fisiche e ciascun individuo potrà essere titolare di un solo Pir. Il capitale annuo massimo investibile nei Pir è pari a 30 mila euro per un totale complessivo di 150 mila euro. La durata minima di permanenza nel piano, per beneficiare delle esenzioni fiscali, è cinque anni. Una volta rispettate queste condizioni scatta la detassazione: i proventi e gli utili derivanti dagli investimenti effettuati tramite i Pir sono infatti totalmente esenti dalle imposte sui capital gain e il patrimonio non è soggetto a imposte di successione o donazione. In caso di estinzione anticipata prima dei cinque anni le tasse sono invece dovute (con interessi ma senza sanzioni). Un lasso temporale stabilito al fine di incentivare gli investimenti su un orizzonte congruo per garantire alle imprese di contare su un flusso di capitali stabile.
Qualunque forma assuma il Pir, i suoi investimenti devono essere rivolti per almeno il 70% verso strumenti finanziari (azioni o obbligazioni quotate e non nei mercati principali o nei sistemi multilaterali di negoziazione) di aziende italiane o europee (della Ue o dello Spazio economico europeo) con una stabile organizzazione in Italia (il restante 30% del valore del Pir può essere investito in qualsiasi altro strumento, inclusi i depositi e i conti correnti).
Di questo 70%, il 30% (che equivale al 21% dell’investimento complessivo) deve essere composto da strumenti di società non comprese nei principali indici di borsa, a partire dal Ftse Mib italiano. Ed è su questo passaggio che il progetto Pir rischia di non raggiungere appieno il suo scopo. Perché escludere solo le blue chip dal piano significa ricomprendervi una serie di mid cap da fatturati ben superiori a 50 milioni che finirebbero col monopolizzare gli investimenti data la loro maggiore liquidità. Secondo le stime i Pir potrebbero avere un importante impatto sul sistema Italia, mobilitando fino a 18 miliardi in nuovi investimenti nei prossimi quattro anni. E l’obiettivo vero sarebbe far affluire il denaro sulle pmi che rappresentano il 90% delle aziende italiane. E che trovano nell’Aim di Borsa Italiana il vero mercato loro dedicato per la quotazione. L’Aim oggi ospita 77 aziende quotate, poche rispetto al gemello della borsa di Londra che ne conta oltre 3 mila. Per questo motivo un rilancio dell’Aim potrebbe essere ottenuto attraverso maggiori incentivi fiscali per investire in pmi vere che adesso non sono comprese nella normativa. «L’introduzione di incentivi fiscali potrebbe favorire, su esempio di esperienze estere di successo, la nascita di fondi dedicati», nota Anna Lambiase, ad di Ir Top, partner Equity Markets di Borsa Italiana. Si innescherebbe dunque un circolo virtuoso tale da dirottare più risorse sulle pmi italiane. Sarebbero necessari dunque correttivi per poter creare condizioni tali da rendere il mercato di borsa delle pmi liquido, altrimenti le risorse che saranno investite sui Pir rischiano di premiare le aziende di dimensioni maggiori tra le mid cap, contraddicendo lo spirito della normativa.
I Pir sono quindi l’innesco di questo meccanismo. E, come detto, le società di asset management sono al lavoro per raccogliere la proposta lanciando Pir sotto forma di fondi comuni specializzati in azioni di pmi, ma anche polizze. […]
Le potenzialità dei Pir fanno gola anche ai gruppi esteri di asset management presenti sul mercato italiano. […]
D’altra parte l’esperienza estera dimostra che i Pir sono stati ben accolti dal mercato. A questo proposito Marco Rosati, amministratore delegato di Zenit Sgr (in procinto di lanciare due fondi legati ai Pir, si veda box a seguire) ricorda che «il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, parlando di recente di Pir, nell’ambito del Pacchetto Industria 4.0, li ha definiti strumenti finanziari utili a far ripartire l’economia e ad aiutare le imprese italiane a rilanciare la loro capacità competitiva». Con effetti positivi anche per le pmi quotate. […]