Dalle parole ai fatti. Dallo scorso autunno, con la definizione e successiva approvazione della legge di Stabilità, che ha introdotto nel nostro ordinamento i Pir (Piani individuali di risparmio), è stato un susseguirsi di dichiarazioni da parte dei gestori di fondi comuni pronti a sostenere l’economia reale con i nuovi “contenitori” del risparmio degli italiani. L’obiettivo è di canalizzare in modo stabile e duraturo risorse soprattutto verso quelle piccole medie imprese che fanno fatica a finanziarsi attraverso il canale bancario. Ma il rischio di indirizzare solo flussi marginali di risparmio all’economia reale con i Pir è davvero alto.
La conferma arriva dal monitoraggio condotto da Plus24 tra i gestori che hanno già lanciato i Pir e adesso iniziano a sciorinare i numeri dei milioni di euro raccolti. Ma dove sono state indirizzate queste risorse? I fondi comuni (e quindi anche i Pir offerti con questa veste) sono tenuti a comunicare la composizione del portafoglio solo nei rendiconti semestrali, che perdipiù sono redatti e resi pubblici con un gap temporale di mesi. E i gestori interpellati hanno risposto, solo a grandi linee, dove hanno dirottato le somme finora raccolte con i Pir.
[…] Ma a scorrere i primi 10 titoli in portafoglio di tutti i fondi Pir (quando sono pubblicati con cadenza mensile sui siti internet delle Sgr) per la legge dei grandi numeri ci sono quasi sempre solo titoli appartenenti al Ftse Mib, perdipiù di società che operano in primis nel settore finanziario. Altro che Pir come strumento di sostegno alle Pmi alternativo al canale bancario. Alla fine le risorse dei Pir vanno a finanziare principalmente le banche.
[…] «I nostri due Pir – afferma Marco Rosati, ad di Zenit Sgr – hanno una quota di titoli di Pmi italiane molto rilevante. In particolare il fondo azionario viaggia con percentuali intorno al 20-30% di titoli del Ftse Mib e il 70-80% in mid cap; solo il 10% circa è investito in azioni dell’Aim, che equipariamo ai titoli non quotati perché sono in buona misura illiquidi». Le azioni delle società quotate all’Aim per molti gestori rientrano di default nel calcolo del 10% massimo di titoli non quotati in cui un fondo può investire.
[…] L’esigenza di investire in titoli liquidi non consente quindi ai gestori di girare sulle Pmi cifre importanti. Gran parte del patrimonio dei Pir è focalizzato sulle big e mid cap, che hanno meno necessità di essere supportate rispetto al tessuto di Pmi italiane che ha difficoltà ad accedere ai mercati finanziari attraverso la quotazione in Borsa o i canali bancari tradizionali. A loro va (per il momento) una porzione infinitesimale delle risorse raccolte dai Pir. E forse questo è un bene per i risparmiatori. Per sostenere le Pmi sarebbe stato meglio concedere agevolazioni ai fondi di private equity e venture capital con capitali raccolti solo tra investitori istituzionali e, soprattutto, consapevoli.