Abbiamo visto, con due diverse simulazioni, lo scenario a cui andreste in contro affidandovi esclusivamente alla previdenza obbligatoria senza mettere fieno in cascina per l’inverno.
Sia per un giovane libero professionista con partita Iva (abbiamo visto il caso di Alice, architetto di 30 anni), sia nel caso di un dipendente che ha già maturato parecchi anni di contribuzione (come Carlo, che lavora per una società di elettronica di consumo), il rapporto di sostituzione derivante dalla pensione versata all’Inps risulta piuttosto deludente.
Insomma, non è il caso di continuare a fare le cicale…
Una buona notizia
La buona notizia è che esiste un modo per correre ai ripari. Ed è semplicissimo, anzi ovvio: mettere da parte un gruzzolo soddisfacente che vi permetta di godervi in pace la vita post lavorativa.
Una soluzione percorribile anche da chi non dispone di grosse somme da investire in un solo colpo potrebbe essere, per esempio, l’attivazione di un PAC, un piano di accumulo del capitale: questa modalità di investimento richiede versamenti periodici e punta a restituire a scadenza un capitale maggiore della somma dei versamenti effettuati.
Per intenderci, è un po’ come mettere delle piccole somme in una specie di salvadanaio che, però, è investito in un portafoglio di strumenti finanziari. Se l’asset allocation del portafoglio è ben equilibrata e diversifica i rischi, con il passare del tempo non è difficile ottenere buoni risultati. Ve lo mostriamo subito.
La simulazione
Vediamo cosa potrebbe succedere se la nostra Alice, l’architetto trentenne, iniziasse a versare in un PAC una piccola somma di denaro – poniamo 100 euro al mese – da adesso fino al momento della pensione, quindi per i prossimi 35 anni, investendo così un capitale complessivo di 42mila euro (1.200 euro l’anno per 35 anni). Facciamo conto inoltre che i versamenti di Alice vengano re-investiti in un portafoglio bilanciato: 60% azioni mondo, 40% obbligazioni mondo.
Metodo di calcolo
I risultati
Lo scenario che ci restituisce l’algoritmo lascia ben sperare: con un sacrificio tutto sommato sopportabile (100 euro al mese sono una cifra abbordabile anche a inizio carriera), si ottiene in media un capitale finale di 136mila euro, che è 3,2 volte tanto ciò che si è versato, nonostante tutte le incertezze e le crisi verificatesi nella storia.
È il frutto di tre fattori in azione:
- un risparmio regolare
- un rendimento positivo reale, storicamente verificatosi
- la legge di capitalizzazione composta.
Ciò significa che, anche con un versamento così modesto come 100 euro al mese, nei successivi 25 anni alla data di liquidazione dell’investimento, nell’ipotesi di investirlo in modo conservativo (un portafoglio “reddito”, o “income”), la nostra Alice potrebbe contare su un’integrazione mensile di oltre 610 euro alla sua (piuttosto risicata) pensione. Naturalmente siamo stati molto conservativi: è plausibile che Alice, con il progredire della carriera riesca ad investire qualcosa in più, con grande beneficio sul capitale finale.
Parliamo di una cosa importantissima: i rischi di questo investimento. Sono piuttosto limitati. Infatti, la probabilità di avere un risultato finale inferiore alla somma versata negli anni è bassissimo, 0,1% nella simulazione. E quand’anche succedesse, il capitale ottenuto sarebbe comunque superiore a 40mila euro, quindi il danno, oltre che assai improbabile, sarebbe limitato e si avrebbe comunque un gruzzolo da parte.
Al contrario, in circa 2 casi su 3 (probabilità del 67%) si raddoppia, triplica o quadruplica il capitale investito. Con 100 euro al mese. Tirando le somme, niente male.
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