L’area dell’euro continua a marciare a tre velocità, sia dal punto di vista della crescita, sia sotto il profilo della credibilità finanziaria. In testa al gruppo (o sul gradino più alto del podio, se si preferisce) svetta solitaria la Germania: secondo una recente ricerca, i titoli tedeschi beneficiano di una riduzione di rendimento di quasi mezzo punto percentuale solo perché sono ritenuti i veri investimenti sicuri nel panorama continentale. Eppure, anche la Germania inizia a mostrare debolezze nella crescita e il rendimento raggiunto dai suoi titoli decennali (1,25%) non sembra lasciare grossi spazi per ulteriori salite dei prezzi.
Alle spalle dei tedeschi lottano per l’argento un’affollata platea di paesi che appartengono al gruppo cosiddetto “soft core”, proprio per rimarcare la distanza che ormai li separa dalla Germania. È un gruppo eterogeneo, in cui convivono la Francia accanto ai Paesi Bassi e l’Austria vicino al Belgio, che cerca di non farsi distanziare troppo e nel contempo di nascondere alcune fragilità delle proprie economie per evitare di essere retrocessi.
A velocità ben più basse viaggiano l’Italia e la Spagna, che si sono riavvicinate in termini di spread di rendimento rispetto ai titoli tedeschi. Il timore in questo gruppo si chiama downgrade: una minaccia da parte delle agenzie di rating che potrebbe rivelarsi costosa in termini di oneri per il servizio del debito. Il caso del Portogallo insegna: i ripetuti abbassamenti del merito di credito hanno comportato una crescita del 4% del rendimento dei titoli lusitani; per Spagna ed Italia, un eventuale quanto al momento improbabile diminuzione del rating sotto la soglia dell’investment grade potrebbe avere effetti dirompenti, anche considerando il peso dei due paesi (complessivamente superiore al 30%) nei maggiori benchmark obbligazionari dell’area euro. La composizione delle tensione politiche italiane fa ora da contraltare lasciando lo spazio ad un miglioramento dello spread e della tonicità dei mercati obbligazionari.
Infine i doppiati, i paesi in cui la crisi è conclamata e ha comportato la necessità di richieste di aiuti internazionali: usciti dalla ribalta la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda, i riflettori si sono puntati su Cipro, economia troppo piccola per poter scatenare un vigoroso effetto contagio, ma nuovo granellino di sabbia nei delicati ingranaggi che dovrebbero portare alla convergenza europea. Mentre le voci danno già la Slovenia come prossimo focolaio di instabilità.
BCE: il mastice europeo
In quest’Europa che viaggia a velocità profondamente diverse i mercati hanno identificato la Banca Centrale Europea come unico collante. Il sostegno della BCE si è manifestato finora attraverso la fornitura della liquidità necessaria al sistema finanziario e ai programmi di acquisti dei titoli di stato dei paesi in maggiore difficoltà, ma nuove misure sembrano essere allo studio per permettere alla banca centrale di operare in modo più incisivo per una ripresa dell’economia reale attraverso il tessuto delle aziende, in particolare di quelle che incontrano maggiore difficoltà nell’accesso al credito. L’unica condizione posta dal presidente della BCE Draghi ai governi è che anche questi ultimi facciano la loro parte con le necessarie politiche fiscali e le riforme strutturali, poiché la banca centrale non può sostituirsi alle istituzioni politiche.
Mentre oltre oceano si inizia a discutere di come invertire le politiche ultra-espansive senza mandare in stallo l’intera economia, in Europa si studia quindi come poter allargare il raggio d’azione della BCE mantenendo intatti i vincoli statutari dell’istituzione. Il tema è reso quanto mai attuale dal poderoso piano di politica monetaria che il governo e la banca centrale giapponese hanno iniziato ad attuare: sembra di assistere ad una sorta di passaggio del testimone dagli USA al Giappone e domani all’Europa in tema di politiche espansive che cercano in ogni modo di riavviare un’economia globale ingolfata negli anni passati dal debito ed obbligata ora ad una cura dimagrante forzata.
Implicazioni per gli investimenti
La volatilità recentemente riscontrata sui titoli dei paesi periferici offre un’occasione di allungamento strategico delle duration, privilegiando il segmento 3-5 anni che appare caratterizzato da un profilo rischio – rendimento più appetibile. Il segmento a lungo termine, dove potrebbero scaricarsi le maggiori tensioni in caso di nuovi focolai di crisi, sembra adatto solo a operazioni di breve termine effettuate in una logica di trading, più che ad una presenza strategica nei portafogli.
I titoli governativi a breve e medio termine dei paesi core e soft core offrono invece rendimenti molto compressi, che non rispecchiano appieno alcune fragilità di queste economie; ad essi, si preferiscono investimenti in obbligazioni corporate di società che operano in quei paesi, che hanno maturato negli ultimi anni un notevole vantaggio economico anche grazie all’approvvigionamento di liquidità a tassi altamente competitivi.
Infine, il caso Cipro ha incrinato uno degli assunti su cui si sono basate le decisioni di investimento dall’inizio della crisi dell’euro, ossia l’intercambiabilità tra debito bancario e debito dello stato di appartenenza della banca: la correlazione tra le due classi di attivi rimane ancora sui massimi, ma – soprattutto per le forme più ibride di reddito fisso – crescono i timori che possano essere chiamati a concorrere al ripianamento delle perdite di un sistema finanziario che si appoggia ancora in buona parte al finanziamento eccezionale da parte della BCE. Per questo, nei paesi periferici, è possibile continuare a sostituire in parte i titoli di stato con obbligazioni bancarie senior che possano offrire una remunerazione extra di 1,5% / 2%; un pizzico di cautela in più, invece, andrà usata nel caso di forme subordinate di debito sebbene possano offrire uno spunto significativo in termini di capital gain.