Alzi la mano chi, nel novembre dello scorso anno, avrebbe previsto che, nei mesi successivi, la borsa di Milano sarebbe stata regina d’Europa. L’incertezza politica legata al referendum costituzionale e una crescita economica debole sembravano pronosticare un altro anno di passione per Piazza Affari. Invece il 2017 è stato, fino ad oggi, un anno vissuto all’insegna del rialzo. Tuttavia, l’anno in corso è stato raccontato più che altro come l’anno delle small cap. Il grande flusso di liquidità portato sul mercato azionario dai Piani individuali di risparmio, i Pir, ha portato gli indici che raccolgono i campioni della media impresa italiana a rialzi che non si vedevano da anni. Il Ftse Italia Small Cap è balzato del 29% da inizio anno a fine agosto e ancora meglio ha fatto l’indice Star: +30% nello stesso periodo.
Queste grandi prestazioni hanno in parte eclissato i rialzi delle blue chip del listino principale. Dopo un 2016 da brividi, che ha visto all’indomani del referendum sulla Brexit Il peggior calo di sempre dell’indice, i primi otto mesi di quest’anno sono stati positivi anche per il Ftse Mib.
Il bilancio è un rialzo a doppia cifra: +12,6%. Meglio del Dax tedesco (+5%), della borsa di Parigi (+4%) e del Ftse 100 britannico.
Un rialzo non solo borsistico, ma anche nei fondamentali. Come indicato da un recente report di Banca Imi, infatti, nel secondo trimestre del 2017, il 39% delle quotate italiane coperte dal broker ha pubblicato risultati superiori alle sue attese. Un progresso guidato da bancari e asset gatherers. Il miglioramento della prospettiva economica, con una crescita che sembra irrobustirsi, sta portando sorprese positive a chi ha creduto nelle grandi aziende del Paese. «Credo che i catalizzatori che hanno permesso questo rialzo siano tre», spiega Marco Rosati, amministratore delegato di Zenit SGR, il cui fondo Pianeta Italia R ha registrato la performance migliore da inizio anno tra chi investe nelle large e mid cap italiane (tabella) «da un lato la maggior serenità che è arrivata sul settore bancario italiano,in due tempi, prima con l’aumento di capitale di Unicredit e poi con il salvataggio di Mps. A questo si è aggiunto il consistente flusso di raccolta arrivato con i Pir che, non bisogna dimenticarlo, possono investire fino al 79% del capitale anche in blue chip. Nel caso italiano queste erano un’ottima occasione dopo che anni sottoperformance avevano portato le valutazioni fondamentali su livelli molto interessanti»
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Per sfruttare questa ripresa delle blue chip è stato fondamentale, secondo Rosati, individuare il momento giusto per muoversi «Rispetto alle mid cap, dove abbiamo storicamente una forte posizione che ci ha dato molte soddisfazioni, l’indice principale è partito con almeno un paio di mesi di ritardo, intorno a fine febbraio e nella primavera», spiega Rosati, con «la ricapitalizzazione di Unicredit abbiamo iniziato a reinserire in portafoglio i finanziari . Sono state però fondamentali anche i titoli automolive e, nel verso opposto, ha aiutato una posizione particolarmente leggera sui titoli energetici che, per ovvie ragioni, sono rimasti indietro». Le valutazioni di molti settori dell’indice Ftse Mib erano, come si è detto, depresse da anni di crisi economica e mancanza di fiducia, una fiducia che, quasi improvvisamente è ritornata sul nostro mercato. […]
Rosati vede l’investimento sui bancari in un’ottica più tattica: «Il rischio di una crisi sistemica è scongiurate, ma il settore bancario nel complesso deve affrontare numerose sfide relative al suo modello di business» indica il manager che preferisce «i titoli industriali, e in parti colare quelli esposti al mercato domestico o europeo. Con la ripresa potrebbero fare meglio di chi aveva fatto bene negli scorsi anni, esponendosi a Usa e Cina» Clicca qui
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